Pier Francesco Zarcone Mondo islamico laicità e secolarizzazione
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Pier Francesco Zarcone: Mondo islamico: laicità e secolarizzazione

Pier Francesco Zarcone:
Mondo islamico: laicità e secolarizzazione

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estratto da “Studi Interculturali” 4 (1, 2014)

Studi interculturali è una rivista pubblicata dal Centro di Studi Interculturali Mediterránea, col patrocinio del Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Trieste e il coordinamento editoriale di Gianni Ferracuti. Tutti i volumi si possono scaricare gratuitamente dai siti interculturalita.it e ilbolerodiravel.org. Vengono inseriti su claydscap.com i singoli articoli della rivista, estratti dal pdf originale.

 

“Il nostro argomento, sicuramente attuale, va affrontato ben al di là degli imperversanti luoghi comuni che proiettano erronee generalizzazioni sia sull’Islām sia su laicità e secolarizzazione. In Occidente per la stragrande maggioranza delle persone l’Islām è un emerito sconosciuto ma contemporaneamente è oggetto di «giudizi» indotti da come lo presentano le semplificazioni giornalistiche dei mass-media. Una delle conseguenze è che l’insieme del mondo islamico appare del tutto alieno e ostico, come un mondo che non dialoga veramente, che non relativizza, permeato da un’intensa religiosità, per giunta in espansione oltre le proprie frontiere storiche e presente anche in Occidente con evidenti problemi di integrazione. Diciamo pure che per certi versi sembra più affine (con certe sue visibili caratteristiche di base) a un lontano passato dell’Occidente che non alla realtà contemporanea di esso. Da qui a parlare di «scontro di civiltà» il passo è breve.

Si pensi a questo esempio scelto per la sua valenza simbolica: ovunque ci sia una moschea col minareto, ogni giorno e per cinque volte, una voce ricorda a tutti – buoni e cattivi, qualunque cosa stiano facendo al momento – che Dio esiste; e quindi con Lui si devono fare i conti. La cosa non è perfettamente equiparabile al ruolo delle campane nel mondo cristiano, giacché la proclamazione che Dio c’è risulta nella chiamata del muezzin alla preghiera molto più diretta, immediata e suggestiva. Inoltre il riferimento a Dio è entrato a fare parte di molte espressioni del parlar comune musulmano, ben al di là del noto insh’allāh (se Dio vuole, poi trasferitosi nel castigliano ojalá e nel portoghese oxalá): per esempio in turco abbiamo Allah Allah per dire «che strano!», Allahtan, «fortunatamente», il malvagio è detto Allahın cezası e l’arrivederci è reso con Allahaısmarladık; per non parlare della ricchezza si espressioni similari in arabo (per esempio, alla domanda «come stai?» si risponde alhamdu-lillāhi, cioè Dio sia lodato, e lo stesso quando si starnutisce; in certe parti si esprime la gratitudine dicendo Allāh ibarek fik, Dio ti benedica; e quando si inizia qualche cosa, seppure profana, si recita la cosiddetta «basmala», ovvero bismillāhi ar-rahmān ar-rahīm nel nome di Dio il Clemente e il Misericordioso.

Non solo il riferimento a Dio è frequentissimo, ma altresì tra i Musulmani si ha l’impressione di una pratica religiosa ben più diffusa e sentita di quanto accada dalle nostre parti. Magari le statistiche forniscono percentuali sulla frequenza alle moschee suscettibili di ridimensionare tale impressione: in Italia pare che a frequentare con una certa regolarità le moschee sia il 46% circa dei musulmani, a fronte della pratica regolare di non più del 49,7% dei cattolici (rilevazione della Fondazione per le Iniziative e gli Studi sulla Multietnicità-Ismu di Milano); e, altro esempio, in un paese come il Marocco solo una parte del buon vino prodotto viene esportata, dal che si evince che il resto è consumato da musulmani locali. Comunque il grado di osservanza del Ramadan (Ramazan, in turco) è altissimo, e generalmente anche i meno praticanti si astengono dal maiale e derivati. E via dicendo.

Eppure nel corso della storia questo mondo, in apparenza tanto lontano, è stato anche molto vicino; e non ci si riferisce solo alle numerose guerre intercorse. Prendiamo le mosse dall’abortita Costituzione europea: in rapporto a essa si è a lungo discusso circa l’esigenza di evidenziare le radici cristiane dell’Europa; poi si sono affacciati esponenti ebrei per chiedere l’aggiunta del riferimento all’Ebraismo, a motivo della matrice giudaica del Cristianesimo; dal canto loro i laici non potevano non rivendicare il loro ruolo nella costruzione dell’Europa moderna e contemporanea, con l’apporto dell’Illuminismo e delle conquiste in materia di rivoluzione scientifica e di uguaglianza e libertà politiche, sociali e individuali. Ma nessuno (almeno a quel che ci risulti) ha ricordato quanto l’Europa debba alla cultura islamica, obiettivamente parte anch’essa delle sue radici: sul pensiero filosofico ha influito la cultura islamica della penisola iberica, grazie a filosofi di lingua araba l’Europa ha recuperato parte dell’eredità greca e latina, per non parlare della matematica e delle scienze; inoltre dal mondo islamico è derivata la moderna poesia profana, con l’esaltazione della natura, dei bei giardini con fontane zampillanti, del vino, dei piaceri della vita; e la musica medioevale ha conosciuto strumenti e moduli nuovi grazie alla musica arabo-islamica. Il mondo musulmano ha inoltre elaborato un suo assetto che ha consentito forme di pluralismo confessionale al suo interno, e in terre islamiche fuggivano dalle persecuzioni cattoliche, e poi protestanti, ebrei e dissidenti religiosi di varia estrazione.

Nel mondo musulmano il fattore religioso ha un’obiettiva presenza e pregnanza, e da ciò normalmente se ne inferisce il carattere di elemento dominante di ogni aspetto della vita individuale e sociale. Così sembra, ma fermarsi alle apparenze implica un’assolutizzazione priva di riscontri nella storia e nella realtà contemporanea del mondo islamico, per cui sarebbe preferibile parlare di religiosità islamica «che permea», e non che domina. La differenza sta nelle parole. Del pari non si deve considerare il mondo islamico come un blocco monolitico, non foss’altro perché al suo interno comprende una pluralità di etnie, di culture e mentalità, di tradizioni e di ideologie religiose e non che vanno ben al di là dei segni comuni di appartenenza all’Islām.

In Europa, con una presenza rilevante di immigrati islamici, ci si limita a sottolineare l’esistenza di problemi di integrazione e li si imputa al fattore religioso. Un altro errore colossale attribuibile solo a ignoranza o a malafede. Ci si dimentica che, l’inserimento in un ambiente in cui sono grandi le differenze socio-culturali e opera l’emarginazione dovuta a xenofobia o razzismo, è facile ingenerare nei discriminati la spinta a riscoprire identità e orgoglio di appartenenza e a ripiegare verso le proprie tradizioni quand’anche inizialmente sentite come arcaiche dagli interessati; e che se questo riflusso in una dimensione «normale» si attenua nelle generazioni seconde, terze e successive, tuttavia se e quando non si realizzino per questi discendenti dei primi immigrati forme di una nuova identità condivisa e di interrelazione con le culture e le tradizioni presenti nel territorio di stanziamento, allora anche elementi di queste nuove generazioni possono facilmente riscoprire la religione con una funzione primariamente identitaria, e quindi rigida; nonché reagire violentemente contro un contesto che si presenta ostile, giacché da un lato discrimina e dall’altro priva della cultura e della storia originarie (si pensi ai bambini arabi che nel Nord Africa francese a scuola imparavano l’esaltazione dei «loro» biondi antenati celti!). È quindi ovvio che certuni vivano come rinascita l’abbraccio a un Islām visto al di fuori dalla storia e dalle tradizioni, e quindi assoluto, e quindi fondamentalista.

Inoltre e soprattutto va evitata l’arbitraria e manichea identificazione fra fervore religioso e radicalismo e magari jihadismo. La necessità di verificare i luoghi comuni è dimostrata dai risultati sorprendenti a cui la verifica porta quando ci si addentra nel tema specifico del «se e fino a che punto» laicità e secolarizzazione siano riscontrabili nel mondo islamico….”

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