Gianni Ferracuti: Dice che “repetita juvant”, ma… sarà?
Ogni anno, di fronte allo sciocchezzaio natalizio di ciò che (con infondata presunzione) si dice “di sinistra”, mi capita di ricordare che il natale è un’invenzione di san Francesco, a significare che non serve occupare militarmente i luoghi santi per celebrare la nascita di Gesù perché questo lo si può fare dovunque e anche ogni giorno: poi, data la fragilità umana, che ha bisogno di segni tangibili, si può realizzarne una rappresentazione plastica che, pur non essendo un rito formale, riattualizza miticamente l’evento.
Mi piace poi descrivere questo evento in termini islamici: è la nascita di ʿĪsā, nascita miracolosa dalla vergine Maryam, come si legge nel Corano, e nascita di un profeta e un al-Masih, un messia ovvero profeta di alto rango inviato da Allah per guidare il popolo (Sura di Maryam, 19, 16-34).
La celebrazione del natale viene generalmente rispettata nei paesi musulmani, anche se non si tratta di una festa ufficiale dello stato, tranne in Iraq e Giordania, dove è ufficialmente riconosciuto, o altri paesi dove il 25 dicembre è una giornata festiva ma laica (Senegal, Malaysia, Pakistan). I “nostri alleati” sauditi ne proibiscono ogni manifestazione pubblica ma consentono di festeggiarlo in privato.
Tutto ciò è noto e forse è più utile fare un’altra considerazione. Ciò che caratterizza la narrazione della natività è l’atteggiamento di esclusione e disprezzo verso una coppia formata da una sposa bambina agli ultimi giorni di gravidanza e un uomo che la tradizione considera molto anziano per l’epoca. A quel tempo ci si sposava in età abbastanza giovane, per cui il vecchio e la fanciulla facevano già una cattiva impressione, ma è probabile che il motivo principale del rifiuto degli albergatori fosse dovuto proprio alla gravidanza, che avrebbe potuto essere di fastidio in un momento di notevole flusso di persone a causa del censimento, soprattutto nel malaugurato caso di problemi o decesso nel parto. Coloro che enfatizzano fino alla noia l’inclusività dovrebbero tenere conto di questo aspetto.
Bisognerebbe anche prestare attenzione al contenuto simbolico che dà alla natività una dimensione universale: la scelta del 25 dicembre come data ha chiaramente un valore strategico, in quanto si sovrappone a molte feste religiose precristiane, dai saturnali romani allo zoroastrismo e via dicendo, rispetto alle quali la figura storica del Cristo appare come una sorta di inveramento e quindi di superamento, ma questo si capisce concentrandosi di più sull’aspetto astronomico, cioè sul fatto che in questa data cade il solstizio, ovvero la vittoria della luce sulle tenebre.
Il solstizio è uno dei simboli più arcaici del pensiero religioso, di cui esprime il nucleo più essenziale. Nella nostra tradizione culturale (che non è “l’occidente”, almeno non ciò che oggi intendiamo con questa espressione) dalla ierogamia di Khronos e Rea (figli della coppia primordiale Ouranos e Gea) nascono figli che Khronos divora, finché Rea riesce a partorirne uno, Zeus, di nascosto (in una grotta, ma funziona bene anche una stalla) e questi riuscirà ad uccidere Khronos e riportare alla luce i figli divorati.
Il senso della storia si ha traducendo i nomi dei protagonisti. Dalla coppia primordiale Cielo e Terra (Urano e Gea) nascono Crono, il Tempo e Rea, il cui nome ha la stessa radice del panta rei di Eraclito – tutto scorre, fluisce: la natura (physis, cioè generazione) è fluente; realtà (realitas) ha la stessa radice: il reale è fluenza per il carattere intrinsecamente dinamico della sua struttura. Dunque, il Tempo divora i figli generati dalla madre natura, finché essi non saranno liberati dalla morte uccidendo il Tempo stesso: questo avviene ad opera di Zeus, in sanscrito Dyaus, dalla radice *dyeu- che significa “luce splendente”, da cui Dyaus pita (padre celeste o padre cielo) e Juppiter, con lo stesso significato, e Dios (genitivo di Zeus). La Luce irrompe nelle tenebre del tempo e salva i figli che ne erano stati divorati: è l’essenza ultima di ogni forma di pensiero religioso; il cristianesimo convalida questo schema mitico aggiungendo – e questa è la sua fede – che esso viene realizzato e reso evento storico nella natività, cioè nell’Incarnazione.
Che ci si creda o meno, tutto si può dire tranne che il natale non sia inclusivo o che la sua celebrazione pubblica possa mancare di rispetto a qualcuno.
Quanto al Babbo Natale, che si sponsorizza come alternativa, è noto che esso è un’invenzione della Coca-Cola Company: un banale prodotto di marketing, che include solo fin quando si hanno dei soldi in tasca, che la ditta aspira a portare nelle sue casse. Il Babbo Natale della Coca-Cola mercifica un’immagine precedente già abbondantemente laicizzata, quella di Santa Claus, deformazione del nome di San Nicola, vescovo cattolico bizantino del IV secolo, il cui corpo è sepolto a Bari. Insomma una pacchianata americana congenere ad Halloween.
Gianni Ferracuti


