Studi Interculturali

Gianni Ferracuti: La leggenda della Santa Compaña

Il viandante che camminasse di notte lungo i sentieri della Galizia, potrebbe incorrere in una spiacevole avventura. Resa sensibile da un marcato odore di cera e da una leggera brezza, a volte annunciata dal suono di una piccola campana, vaga tra i boschi e vola per le valli uno strano corteo: la «Santa Compaña», processione di anime che reggono un cero acceso o delle ossa illuminate come torce.

Dicono alcuni che sia la processione degli antenati che vengono ad annunciare una morte imminente, altri sostengono che essa porta una bara e mostra il corpo di un parente recentemente morto. In fondo, però, il nostro viandante notturno se la caverebbe solo con uno spavento se, nell’incontro con la «Santa Compaña» non fosse possibile un pericoloso risvolto. Infatti, questo strano corteo di anime in pena ha l’abitudine di farsi guidare da un vivo: il primo uomo che la incrocia nella sua uscita deve assumere questo incarico cui non può assolutamente rinunciare. Egli può solo, se gli riesce, trasmetterlo a un altro malcapitato incontrato per via, consegnandogli le insegne del suo ufficio: la croce e l’acqua benedetta.

Deve però essere molto svelto, perché la trasmissione non ha luogo se il nuovo venuto si getta a terra bocconi o traccia attorno a sé un cerchio. In genere si dice che la persona che va coi defunti assume un aspetto pallido e indebolisce, anche se nessuno ha mai affermato che tale incombenza conduce alla morte. Ovvio, inoltre, che la nolente guida del corteo è tenuta al segreto, sia riguardo al suo ufficio, sia riguardo a ciò che può venire a sapere durante le sue uscite notturne.

Questa, a grandi tratti, la storia che si racconta in Galizia, e non sono pochi quelli che potrebbero giurare di aver visto realmente la «Santa Compaña». In realtà, non abbiamo difficoltà a crederlo, anche se, considerando il materiale folclorico come l’ultima forma assunta dal mito, non siamo molto disposti a compiangere la persona che anda con los difuntos. Vorremmo, appunto, chiarirne il perché.

Che questa leggenda sia antichissima è un dato su cui concordano tutti gli investigatori; parimenti certo è che l’interpretazione delle ombre notturne come anime in pena sia il risultato nella cristianizzazione della narrazione. Probabilmente non ci si equivoca affermando che tale tema era originariamente legato alla cultura celtica, anche se trovava analogie con tradizioni indoeuropee. Non è affatto fuori luogo il rapporto, da molti sottolineato, tra la Santa Compaña e la cavalcata notturna di Wotan e dei suoi inseguitori, anche tenendo presente che un altro nome con cui il corteo è designato, Estantigua (hostis antigua) restituisce ad esso un carattere guerriero che si era perduto. Non è dunque il movimento lento di una processione, ma la corsa di una truppa, la cui irruenza è facile immaginare considerando che col termine estantigua sono stati chiamati anche i diavoli. D’altronde, la narrazione tradizionale ci dice chiaramente che la Santa Compaña vola.

Altri elementi sono importanti per interpretare la leggenda in chiave mitica. In sostanza:
– il tempo in cui avviene la sortita: di notte;
– la presenza di «fantasmi» e della luce;
– la guida del vivo catturato;
– le insegne che caratterizzano la funzione della guida.

Il resto ci sembra materiale trascurabile, folcloristico, o comunque troppo corrotto per essere attendibile. Annunciano una morte? Portano una bara? Poco importa, anche perché non abbiamo bisogno di giustificare le uscite; la giustificazione c’è e logica: escono, queste anime, per catturare la guida, perché hanno bisogno della guida, cioè di un capo.

Il senso della vicenda appare chiaro se facciamo un confronto con altri mondi popolari in cui compaiono come protagonisti dei non-morti. Due in particolare, entrambi appartenenti al patrimonio celtico, sono quelli che potremmo citare. Il primo è una leggenda svedese che ha per argomento la bianca città di Vineta, ricchissima e splendida, ma condannata, per le colpe dei suoi abitanti, ad essere sommersa dalle acque. Ogni cento anni la città esce dai flutti e i suoi abitanti, che non possono morire, hanno un’ora di tempo per cercare di vendere a qualcuno un oggetto di loro possesso. Se ciò non si verifica, come avviene da tempo immemorabile, la città sprodonda di nuovo.

La seconda leggenda è un racconto brettone armoricano, la cui struttura ricorda molto da vicino il mito della città celtica di Ys, sommersa da una fontana a causa della distrazione della fanciulla che custodiva le acque. La città del nostro racconto era governata da un re mago e, nella versione che stiamo esaminando, sprofonda nella sabbia. Ogni anno, però, nella notte di pentecoste, si apre un accesso che conduce fino al palazzo del re, in cui è possibile penetrare nel breve lasso di tempo che intercorre tra il primo e l’ultimo tocco della mezzanotte. Un uomo tenta l’impresa lottando col tempo per impadronirsi del bastone magico del re, e corre verso il centro del palazzo, insensibile ai tesori sparsi nelle stanze, ma non al fascino di incantevoli fanciulle da cui si lascia sedurre, mentre il passaggio, inesorabilmente, si chiude alle sue spalle.

In entrambi i racconti abbiamo degli esseri sopravviventi, o almeno viventi in forma diversa dall’umana, non soggetti alla morte. Per di più, almeno nel secondo caso, abbiamo una città che rapisce una persona viva. A ben guardare è lo stesso ordine di idee che ritroviamo nella Santa Compaña, anche se qui è maggiormente evidente che la città misteriosa altro non è che l’Altro Mondo, dal quale non si è rapiti, ma a cui si accede attraversando la morte, cioè superando le prove iniziatiche per compiere nello stesso tempo la rinascita interiore e un’opera di restaurazione.

La limitazione dell’autorità, la caduta, che nel folclore diviene punizione divina per i peccati commessi, si manifesta come il bisogno di una reintegrazione, l’attesa dell’eroe restauratore che restituisca al mondo i fasti dell’età dell’oro. Anche nella storia galega non si è catturati, ma ci si pone a capo del corteo impugnandone le insegne: la croce e il recipiente che contiene acqua benedetta, sopravvivenza di un simbolo arcaico il cui lontano modello è da rintracciare nel vaso celtico, equivalente alla coppa del Graal. Nella Santa Compaña va dunque vista una schiera, all’origine quasi sicuramente costituita da guerrieri, in attesa del proprio Artù. È una schiera che non appartiene a questo mondo, anche se le sue gesta si compiono in esso, secondo il noto rapporto di relazione tra le diverse dimensioni del creato, tra questo mondo e l’altro, espresso in tutte le mitologie antiche e sviluppato soprattutto dai celti, che su questo tema esercitarono la loro inesauribile fantasia. Una fantasia sempre intesa come facoltà spirituale, non come evasione, come capacità di penetrare in ciò che è nascosto alla ragione, nel mondo dei simboli più fecondi per l’intuizione intellettuale.

Si noti, a rafforzamento di questa interpretazione, che la schiera di anime vola, il che pone il fantastico corteo nel cielo e fa pensare ai rapporti che esso potrebbe avere con la via lattea, lungo la cui direzione si svolge il pellegrinaggio a Santiago de Compostela, città nei cui paraggi è situato il monte Pindo, l’olimpo celtico, e che costituisce la tappa fondamentale, ma non l’ultima, del pellegrinaggio: c’è un’appendice conclusiva da Santiago a Finisterre, ultimo promontorio nord-occidentale d’Europa, di fronte al quale si situava una delle tante città sommerse del folclore galego. Così tra i fantasmi e gli abitanti del castello del Graal a nostro avviso non c’è nessuna differenza; le loro periodiche sortite equivalgono alla comparsa e alla scomparsa dello stesso castello brettone, mentre la notte e le luci che essi reggono stanno ad indicare la contrapposizione tra l’oscuramento della tradizione e la sua conservazione, seppure in maniera precaria e languente: re Pelleor guarirà solo nel momento in cui Perceval porrà la domanda. E come Perceval, il viandante di Galizia ha non già il pericolo di essere rapito, ma la possibilità di porsi al comando della Santa Compaña per riportarla in vita e restaurare con essa l’ordine primordiale del paradiso terrestre o dell’età dell’oro.

Disgraziatamente per i nostri fratelli fantasmi che ci aspettano, questo non sempre è possibile. Stupito dalle meraviglie che accadono attorno a lui, Perceval non pone la domanda; il viandante di Galizia, forse, si limita a fuggire, o si getta a terra spaventato d al terrore, e le insegne del potere gli passano sulla testa, ignorandolo. Forse perché dell’età dell’oro abbiamo tanta nostalgia sentimentale (e questo è giusto, bello e utile), ma poi a una bella carriera nell’altro mondo preferiamo la lotta in questo.

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