Studi Interculturali

Sulla gestione della pandemia (domande in forma di lettera aperta)

Sulla gestione della pandemia
(domande in forma di lettera aperta)

La lettura di alcuni articoli pubblicati sui maggiori quotidiani nazionali mi ha suscitato alcune domande che vorrei condividere.

Il primo punto riguarda la percentuale di decessi per covid-19 su 100.000 abitanti. Facendo un raffronto su dati omogenei tra Italia e Sati Uniti da ottobre 2020 a febbraio 2021, il tasso di mortalità per covid su 100.000 abitanti risulta il seguente:

ottobre 2020:

Italia: 60,2
USA: 66,2
media UE: 38,4
fonte: www.ispionline.it

dicembre 2020:

Italia: 111, 23
USA: 94,97
fonte: www.lastampa.it

 febbraio 2021:

Italia: 158,3
USA: 150,7
fonte: ourworldindata.org

In questo lasso di tempo l’America è in una fase di esplosione della pandemia, prima che intervenga la nuova politica dell’amministrazione Biden con un piano di massiccia vaccinazione della popolazione; invece in Italia, è in corso la seconda ondata, prevista, attesa e preparata con misure di distanziamento sanitario, chiusura di cinema, teatri, palestre e quant’altro, contingentamento degli ingressi nei locali pubblici, orari ridotti e il cosiddetto coprifuoco. In questa fase, entrambi i Paesi hanno un incremento notevole dei decessi: gli USA da 66,2 a 150,7 e l’Italia da 60,2 a 158,3 (costantemente superiore all’incremento americano); ma la mortalità italiana è superiore e tende a crescere. Dunque, le misure precauzionali adottate in Italia, le chiusure, i distanziamenti, ecc., hanno avuto una qualche incidenza sul contenimento della mortalità? e, nel caso, come mai questa incidenza non viene rilevata dai numeri?

Per la mortalità per 100.000 abitanti da inizio pandemia, il dato italiano è impressionante (tutti i calcoli sono aggiornati al 10 marzo 2021):

Fonte: https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/#menu_anchor

Percentuale dei deceduti su 100.000 abitanti da inizio pandemia:

Italia: 168
USA: 161
Brasile: 129
Canda: 59
Messico: 150
Spagna: 155
Francia: 138
Germania: 88
Svezia 139
Norvegia: 12
Finlandia: 14
Russia: 61
India: 11
Iran: 73

Anche nel tasso di letalità (percentuale di decessi tra le persone contagiate dal virus) il dato italiano è preoccupante al confronto con gli altri Paesi:

fonte: https://statistichecoronavirus.it/coronavirus-italia

Italia

totale contagi: 3.201.838
decessi: 101.881
percentuale: 3,18%

USA: 1,81
Germania: 2,85%
Francia: 2,20%
Spagna: 2,26%
Iran: 3,50%
percentuale globale mondo: 2,21%

Negli ultimi giorni, inoltre, sono apparsi sui quotidiani nazionali diversi articoli dedicati a medici di base che non hanno mai smesso di curare a domicilio i loro pazienti, con risultati eccellenti e non di rado senza avere decessi tra i loro assistiti. Anche a livello locale ci sono varie testimonianze che confermano la possibilità di curare con successo la malattia da covid a domicilio, con un’assistenza continua (peraltro con un costo molto contenuto rispetto a quello di un ricovero ospedaliero). Ma queste testimonianze sono anche concordi nel riferire che sono pochi i medici di base che fanno assistenza domiciliare. Questa accusa è molto grave e non ha ricevuto smentite: ne è al corrente il ministro competente? È accettabile che medici di base non rispondano al telefono? perché non è stata predisposta la loro mobilitazione? perché non sono stati forniti loro dei dispositivi necessari per operare in sicurezza? perché i protocolli di intervento domiciliare (secondo quanto viene riferito, ripeto: senza smentita) sono stati approssimativi?

La cura domiciliare avrebbe potuto rappresentare una prima linea di massiccio intervento, permettendo di alleggerire la pressioni sugli ospedali, anche considerando che la percentuale dei ricoveri i terapia intensiva, rispetto ai ricoverati con sintomi, è pari a 0,57% (fonte: https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/). Molti contagiati con una sintomatologia lieve sono stati invitati a restare a casa e aspettare l’evoluzione della malattia – e qui sono stati sostanzialmente abbandonati, salvo poi arrivare in ospedale con sintomi gravi, avendo perso l’opportunità di cure tempestive e, a quanto si dice, altamente efficaci nella fase iniziale.

Altri casi, riportati da numerose testimonianze, parlano di tempi eccessivamente lunghi per effettuare un tampone nel sistema sanitario: in Friuli Venezia Giulia, regione che pure vanta un buon sistema sanitario, si sono verificate attese anche di 10 giorni pur in presenza di sintomi, e le testimonianze di disservizi legate ai tamponi potrebbero essere facilmente modificate. Ora, il ricorso massiccio ai tamponi doveva rappresentare la principale arma di tracciamento del contagio e di isolamento dei focolai e tuttavia si arriva a una fase acuta della pandemia – prevista e attesa – senza aver potenziato le strutture in grado di eseguire l’esame? anche in questo caso senza mobilitare tutti i laboratori, anche privati, disponibili o tutti i medici di base? nonostante l’esperienza già vissuta nella cosiddetta prima ondata? è giustificabile che il sistema sanitario pubblico tardi 10 giorni per effettuare un tampone che si può fare a pagamento entro le 24 ore?

E ancora bisogna chiedersi: nell’insufficienza dei posti letto nei reparti ordinari e nelle terapie intensive quanto ha inciso la diminuzione degli stessi nel corso degli ultimi dieci anni? e la chiusura di piccoli ospedali distribuiti sul territorio? Il modello politico di gestione della sanità pubblica, che ha portato a questa riduzione, viene ora messo in discussione? esistono progetti per riaprire le strutture chiuse nel territorio? esistono indicazioni di una messa in discussione delle scelte fatte, o si preferisce continuare con lo stesso modello, puntando solo sulla vaccinazione di massa e sulla speranza, molto debole, che il virus non muti rendendo inefficaci i vaccini?

Come ho detto, sono partito da informazioni comuni e ho posto delle domande, principalmente per un mio bisogno di chiarezza. Queste domande interrogano non la scienza, bensì il sistema politico della gestione della pandemia, e di conseguenza l’efficienza della sanità pubblica nella sua funzione di organizzazione, previsione, intervento e gestione della salute.

Gianni Ferracuti