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«Un po’ serpente e un po’ gatta in amore»: Flamenco e identità andalusa dalle origini a García Lorca

Gianni Ferracuti:
«Un po’ serpente e un po’ gatta in amore»:
Flamenco e identità andalusa dalle origini a García Lorca

La complessa tradizione del flamenco (canto, musica e ballo) si organizza nel corso di un lungo processo di elaborazione sotterranea a seguito del “travaso” nel mondo gitano di consistenti gruppi di moriscos spagnoli: colpiti dal decreto di espulsione del 1609, essi si nascondono negli accampamenti di zingari, si confondono con loro e permettono la fusione delle tradizioni musicali arabo-andaluse con quelle che i gitani traevano dall’Oriente.

Verso la fine del XVIII secolo, quando ai gitani vengono riconosciuti, se non tutti, almeno i principali diritti di cittadinanza e viene abolita, almeno formalmente, la loro discriminazione nel mondo del lavoro, la tradizione flamenca diventa visibile anche per i non gitani ed è possibile assistere a canti e balli che prima si svolgevano solo nei loro accampamenti.

Ben presto il flamenco diventa oggetto sia di studi scientifici sia di un interesse politico, che lo interpreta come elemento essenziale dell’identità andalusa, come una sorta di cordone ombelicale che lega il presente all’Andalusia musulmana e al Regno di Granada, nel quadro di rivendicazioni autonomiste e istanze federaliste.

Tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento il flamenco vive un periodo d’oro, grazie alla sua diffusione nei “café cantantes“, alla presenza di artisti di altissimo livello, e a un’oggettiva sintonia con gli ambienti artistici e letterari d’avanguardia (il “modernismo” spagnolo), ma tale successo non è sufficiente ad abbattere pregiudizi e ostilità nei confronti di questa tradizione artistica o dei luoghi, presuntivamente malfamati, in cui si svolgono gli spettacoli.

La polemica tra flamenchismo e antiflamenchismo è ininterrotta fino al Concorso di cante jondo di Granada, del 1922, organizzato da Federico García Lorca e da Manuel de Falla, compositore spagnolo di fama internazionale.

Svoltasi tra mille polemiche, tale manifestazione segna il riconoscimento ufficiale del valore culturale del flamenco, che oggi è considerato dall’Unesco patrimonio immateriale dell’umanità.

Scritto in modo chiaro e ameno, anche sottolineando con ironia l’umorismo involontario dei detrattori del flamenco, il libro ne ripercorre la storia dalle origini al 1922, ricostruisce grazie alle fonti dell’epoca gli ambienti, i personaggi e il folclore legato alle “juergas” flamenche, e presenta una preziosa selezione di testi in traduzione italiana, di Blas Infante, Federico García Lorca, Manuel de Falla, Ramón Gómez de la Serna, e di articoli collegati al Concurso de Cante Jondo di Granada del 1922.